Presentata in anteprima e in versione beta a Forum Serramenti la prima Analisi dei Bilanci dei Retailer di serramenti. Il settore mostra una interessante redditività ma non mancano i problemi. I piccoli e i grandi stanno meglio dei medi.
Presentati al Forum Serramenti del 26 novembre scorso i risultati della prima Analisi dei Bilanci dei Retailer di serramenti. Il settore mostra una interessante redditività, ma non mancano i problemi. I piccoli e i grandi stanno meglio dei medi.
I risultati di questa prima analisi sono stati promossi dalla redazione di Nuova Finestra e Showroom, progettata assieme a NordEst Innovazione, studio di consulenza d’alta direzione, e realizzata da quest’ultima sulla base dei bilanci dei rivenditori di porte e finestre depositati presso il registro delle imprese delle Camere di Commercio. Membri del team sono stati: Giuseppe Piazza, Luca Realdon e Ermanno Zonato.
Gli obiettivi dell’analisi sono stati quelli di:
I risultati dell’Analisi sono inerenti a sei regioni italiane. Essendo la prima fase – un beta test – il campione di riferimento è stato di soli 50 bilanci di retailer indipendenti di porte e finestre del Nord e del Centro Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna e Lazio. Regioni che corrispondono al 49% della popolazione italiana e presentano il 52% del patrimonio abitativo nazionale e un PIL pro capite globale superiore al 25% rispetto a quello nazionale. In corso d’opera la seconda fase, che riguarda le restanti Regioni italiane.
Risultati emersi dai dati aggregati
Crescono i ricavi delle aziende del campione, segnando un +4,4% rispetto all’anno precedente (2016). Registrano un trend positivo anche l’EBITDA (che passa da 7,5% a 8%), il risultato di esercizio (che sale del 31%). In miglioramento anche la PFN-Posizione Finanziaria Netta, ovvero l’indebitamento, che diminuisce del 12,8%, mentre aumenta il patrimonio netto di quasi il 10%. Il tutto mentre il rapporto di fatturato per addetto si colloca a ridosso dei 250 mila euro a fronte di un costo per addetto attorno ai 33 mila euro; l’incidenza del costo del lavoro sul fatturato viene limitata a 16,7%. In ogni caso è stato possibile individuare delle interessanti linee di tendenza che dovranno comunque essere confermate una volta in possesso della totalità dei dati.
Notizie positive anche dagli altri indici aziendali: il ROE (la redditività del capitale proprio) aumenta del 3% rispetto al 2016, arrivando al 19,3%, mentre il ROI (la redditività del capitale investito) sale a quota 10,4%.
“Gli indici sono abbastanza positivi. Ci sono delle difficoltà rispetto alla patrimonializzazione, ma questo è un problema tipico delle aziende italiane che sono spesso “sottopatrimonializzate”. Questo settore non fa eccezione. Il panorama è contraddistinto dalla presenza di parecchie micro-imprese che comunque a casa portano reddito. Hanno una capacità non comune di redditività anche dovuta ai costi di personale che riescono a tenere più bassi rispetto alla media. Probabilmente dietro di loro c’è la forza e l’impegno della famiglia. E riescono a spuntare delle condizioni più interessanti dai propri fornitori, come tempi di pagamento più lunghi”. Queste le parole di Giuseppe Piazza, che prosegue: “E i grandi? I rivenditori di dimensioni più importanti – intendiamo quelli sopra i 4 milioni di fatturato – sono aziende vere e proprie, strutturate, e presentano una buona redditività. Sono a posto anche dal punto di vista della solidità finanziaria e delle liquidità. Insomma, sono le aziende che stanno meglio”.
Interviene poi Ermanno Zonato, sempre di NordEst Innovazione, che commenta la situazione dei rivenditori che si trovano nel mezzo: “La pattuglia mediana per fatturato comunque presenta una buona redditività. Qualche azienda presenta indici di redditività più bassa. Qualcun’altra soffre di sottopatrimonializzazione. Soffre quindi di circolante e di gestione finanziaria avendo difficoltà ad approvvigionarsi di liquidità. Sono queste le aziende maggiormente in tensione”.
Viene spontanea la domanda del come mai le aziende di mezzo soffrano. Risponde sempre Zonato: “Potrebbe esserci uno sbilancio dovuto a degli investimenti, ad esempio, oppure potrebbe trattarsi di una fase di maturazione dell’azienda verso una dimensione di complessità superiore. Sono questi i problemi tipici che affrontano i titolari di queste realtà che nascono di solito in ruoli tecnici o commerciali. Un conto è conoscere il prodotto e saperlo vendere, ma quando cresci si deve imparare anche a gestire i flussi operativi, i processi interni, l’organizzazione delle persone. Il che non è semplice. Si tratta di aziende che devono fare esperienza e inevitabilmente inciampano generando delle perdite di redditività e di performance”.
Criticità emerse dall’analisi
“Sicuramente la rotazione del capitale – risponde Giuseppe Piazza – che si attesta in valore 2,4. Questo significa che il capitale circolante ritorna in azienda in forma liquida solo due volte l’anno; e questo si traduce in un allungamento dei tempi necessari per portare a casa i soldi, ovvero si lascia tanto tempo ai clienti. Mediamente c’è un peggioramento rispetto al 2016. Questo potrebbe essere dovuto, ad esempio, a un calo della liquidità in circolo e quindi chi compra tende a dilazionare i tempi di pagamento”.
Non benissimo anche l’indice di incidenza del capitale di terzi sul fatturato che testimonia l’ampio ricorso al credito esterno e l’incapacità di finanziare in autonomia le vendite mancando di capitale proprio. Riflette Zonato: “Tutto ciò è collegato a quanto si diceva relativamente alla sottopatrimonializzazione delle aziende dova la conduzione familiare tende ad utilizzare spesso l’azienda come un bancomat. Un semplice consiglio degli esperti è quello di lasciare almeno una parte degli utili in azienda in modo da aumentare il capitale proprio da poter utilizzare all’occorrenza. È in questo modo che si rinforza l’impresa e si aumenta il rating”.
Dalle analisi emerge anche un gap molto forte tra durata media dei crediti (74 giorni) e debiti (207 giorni). In particolare nell’ultimo esercizio la durata media dei debiti commerciali si è ulteriormente allungata di dieci giorni a carico dei fornitori, che quindi fanno da banca. Piazza: “I rivenditori che hanno bisogno di liquidità se la vanno a prendere a monte dai fornitori. i pagamenti raggiungono oltre i sei mesi, il che singolarmente è lo stesso meccanismo della GDO, la grande distribuzione organizzata, che paga i fornitori a babbo morto”.
Domanda chiave finale a Giuseppe Piazza: “Alla luce degli indici aziendali medi emersi, quello del retail di porte e finestre è ancora un settore attraente?” Risposta: “Si, lo è. Anche se occorre prepararsi ad un cambiamento di ruolo del punto vendita, soprattutto rispetto sia alla filiera che agli altri canali (internet, social,…)”.
È bene ribadire che i dati vanno interpretati in chiave prudenziale, in quanto sono parziali. I risultati effettivi si avranno al termine della seconda fase di analisi che riguarderà le restanti Regioni italiane.
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