Analisi di una sentenza della corte di Cassazione in materia di distanza tra edifici in cui è coinvolta una parete finestrata.
La corte di Cassazione si trova molto spesso a doversi esprimere in materia di edilizia e a dover fornire giudizi relativi a cause che coinvolgono elementi del settore dei serramenti (vedi qui). Un esempio in merito è dato dall’Ordinanza 25229 del 19/09/2024 della SEZ. II CIVILE della Corte di Cassazione (clicca qui per scaricarla).
Tramite tale pronuncia il tribunale si è espresso in merito a una diatriba in materia di distanze tra edifici, con particolare riferimento alla distanza tra una costruzione e la parete finestrata dell’altra.
Per inquadrare questa tematica è però necessario partire dalla puntualizzazione di una coppia di concetti basilari per la giurisprudenza in materia: la definizione di costruzione e il principio di prevenzione temporale.
La definizione di costruzione da applicare nell’ambito della disciplina privatistica delle distanze è individuata da una giurisprudenza consolidata che stabilisce come:
deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21173 del 08/08/2019, Rv. 655195 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4277 del 22/02/2011, Rv. 617015).
Con tale concetto che non può essere derogato da parte di norme secondarie a livello locale.
Il Principio di prevenzione temporale è alla base della disciplina delle distanze tra costruzioni prevista dall’articolo 873 del Codice Civile e stabilisce che il proprietario che costruisce per primo (detto “prevenuto”) determina le distanze che devono essere osservate dai confinanti che costruiscono in un secondo momento (detti “prevenienti”) sui fondi vicini.
Fatta questa duplice premessa, torniamo alla sentenza in questione.
Le Sig.re M. hanno citato in giudizio il Sig. R in quanto quest’ultimo stava costruendo un fabbricato ad una distanza inferiore rispetto ai 10 m dalla parete finestrata del fabbricato delle Sig.re M. Il Sig. R non si è limitato a difendersi, chiedendo il rigetto della domanda proposta contro di lui, ma ha esercitato, a sua volta, un’azione volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati dalle Sig.re M in relazione al fatto che esercitassero illegittimamente la veduta sul suo fondo e a richiedere la loro condanna ad arretrare la loro fabbrica sino a 5 metri dal confine tra le proprietà.
Il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda delle Sig.re M, condannando il R. ad arretrare la sua fabbrica sino a 5 metri dal confine e a risarcire il danno cagionato.
La Corte di Appello ha poi accolto l’impugnazione proposta dalle M. avverso la decisione del giudice di primo grado, ordinando al R. di arretrare il suo fabbricato sino al rispetto della distanza di 10 metri dalla parete finestrata dell’edificio delle originarie attrici, e confermando il risarcimento del danno già quantificato dal primo giudice. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, provata la preesistenza almeno di parte della costruzione di proprietà delle M. sulla base del relativo rogito risalente al 1978. La Corte di Appello, inoltre, ha evidenziato come R. avesse conseguito il permesso di costruire del suo edificio nel 2004 e, quindi, sarebbe stato R. a dover rispettare la distanza di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 dalla costruzione delle Sig.re M. che avevano il diritto a mantenerla nella sua collocazione.
Nei confronti di tale indicazione della Corte di Appello hanno effettuato ricorso sia le Sig.re M., sia il Sig. R.. Le prime al fine di vedersi riconosciute un risarcimento di portata maggiore, il secondo con lo scopo di dimostrare l’illegittimità della costruzione delle Sig.re M. sia in relazione all’atto presentato come prova della preesistenza, sia al fatto che la parete finestrata fosse stata realizzata in aderenza al confine con la proprietà R., ancorché ciò non fosse consentito dalle norme locali.
La Cassazione ha ritenuto infondati i ricorsi del Sig. R..
Per quanto riguarda il primo aspetto il giudice ha ritenuto provato che le M. avevano ultimato il loro edificio nel 1978 e che quindi esse avessero acquisito il diritto di mantenere la parete finestrata del loro edificio nella sua attuale collocazione, a fronte del decorso di oltre vent’anni dalla realizzazione della costruzione.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, il giudice ha evidenziato come la normativa di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 non è derogabile dalle disposizioni regolamentari locali e va interpretata nel senso che la distanza minima di 10 metri dalla parete finestrata va sempre rispettata, essendo peraltro indifferente che essa appartenga all’edificio preesistente, o a quello realizzato successivamente. Inoltre, a riguardo, il giudice ha evidenziato che tale indicazione è nel solco dell’orientamento della Corte che ha già stabilito in passato come il DM 1444 non imponga di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma vada interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine. Nel caso di specie le M., che avevano costruito a confine con la proprietà del Sig. R., non possono dunque essere costrette a chiudere le aperture praticate nella parete del loro edificio prospiciente la proprietà R., poiché, essendo trascorso oltre un ventennio dalla realizzazione del piano terreno del loro stabile, il diritto di veduta a carico del fondo del Sig. R. si è consolidato grazie all’usucapione.